Ragusa. Il dolore della ragazza. Il carnefice era già stato condannato per violenza sessuale e rapina

di redazione 10/09/2019 CULTURA E SOCIETÀ
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Aveva appena finito di festeggiare i suoi trent’anni con gli amici e tornava a casa in auto, i regali accanto ai resti della torta, incartati per i genitori con i quali vive. Ma la felicità per un compleanno semplice e sereno si è infranta nell’inferno di una violenza senza fine, di uno stupro brutale. Agghiaccianti le sequenze cominciate con una trappola alle due di notte su una strada solitaria di Vittoria. È lì che un balordo di 26 anni, sbracciandosi in mezzo alla carreggiata, ha bloccato l’auto chiedendo aiuto per la moglie. E la ragazza credendo alla menzogna ha mollato la guardia. Un istante dopo è comparsa una grossa pietra. Minacciando di colpirla, l’ha spinta sul posto passeggero, strappandole il cellulare dalle mani, e s’è messo alla guida spedito verso la stradina del cimitero di questo grosso centro in provincia di Ragusa.

Il terrore si leggeva negli occhi del mostro, Sergio Palumbo, moglie e due bimbi a casa, la cocaina come passatempo, il corpo scolpito e curato nei dettagli, i contorni delle ciglia disegnate dal rasoio, la maglia aperta sul petto depilato, certo di farla franca ancora una volta. Recidivo. Perché per una vicenda simile, per avere rapinato e violentato una prostituta, era stato condannato a due anni e sei mesi nel maggio 2018. Pena mai scontata. In cella c’era rimasto quattro giorni appena, «passando dagli arresti domiciliari all’obbligo di dimora», come ricorda infastidito il vicequestore Antonino Ciavola che lo ha incastrato e ammanettato. Ma questo è l’epilogo di una Via Crucis che scatta, spettrale, davanti al camposanto. La macchina al buio fra muro di cinta e cipressi. Palumbo trova la carta di identità della ragazza e la terrorizza leggendo i dati ad alta voce: «Ora so chi sei, dove abiti e se parli faccio fuori te e i tuoi familiari. Zitta, muta...».

 Comincia così la violenza di uno stupro che prosegue per ore. Con la macchina che si rimette in moto perché Palumbo ha deciso di correre per le strade col suo trofeo accanto, fino a Marina di Ragusa, la spiaggia del Commissario Montalbano in una notte senza controlli. Fatta eccezione per le telecamere di servizio fra banche, bar e ristoranti. Compresa pure quella del Bar Vital di Santa Croce di Camerina, la città di un’altra tragedia, quella del piccolo Loris, il bimbo ucciso e gettato via in un canalone da una madre sciagurata. Altra storia, ma sono le stesse telecamere a confermare l’identità dell’aguzzino ed è la stessa Squadra Mobile a indagare il mattino successivo, quando la vittima finalmente mollata dallo stupratore potrà invocare aiuto ai familiari e correre verso i medici dell’ospedale. Esce così lentamente dal tunnel la donna, cominciando a rivelare i primi dettagli che consentono di dare un nome al carnefice e a una famiglia dove c’è un’altra vittima, la moglie di Palumbo, succube con una bimba di sei anni e un bimbo di due.

Incrociando foto segnaletiche e registrazioni tv, la perquisizione scatta in fretta, ma in casa gli agenti hanno potuto sequestrare solo gli indumenti che aveva chiesto di lavare. Individuato lo stesso Dna dei reperti biologici rilevati sull’auto, via alla caccia. Trovato per strada. Negli occhi di questa ragazza senza nome per la cronaca sono rimaste impresse sequenze agghiaccianti: «Uno strazio che non finiva mai. Mi sono sentita protagonista di un film horror con un bruto che si era presentato con la faccia di un uomo preoccupato per la sua donna, bisognoso di aiuto...». Terrorizzata dalle minacce, ecco un’altra donna che pensando alle sequela delle violenze registrate ogni giorno, evocando con flash sovrapposti i tanti femminicidi raccontati dai media, si lascia assoggettare: «Senza potere neanche immaginare di tentare una fuga». Costretta a subire. E non solo, come rivela agli inquirenti e agli psicologi che l’hanno supportata: «Costretta perfino ad ascoltarlo quando s’è messo a lamentarsi parlando della moglie che non lo capisce, di una lite avuta quella stessa sera...». Siamo ai limiti di un profilo da psicopatico. Una ragione in più per temere e cedere. Come è accaduto finché il carnefice non l’ha mollata in piazza a Vittoria, davanti all’ultima telecamera di controllo che ne ha registrato il volto. «Ma anche quando se ne è andato non è scemato il rischio della ritorsione», spiega lei, infine rassicurata dalle funzionarie di polizia che la coccolano come una sorella


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